Smart Working, per essere efficace deve essere parte integrante della cultura aziendale

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Circa un anno fa, considerato l’aumento vertiginoso della percentuale di contagi dovuti al Covid-19, l’Italia entra in lockdown totale: oltre tutte le restrizioni per il contenimento dei contagi, alle aziende viene chiesto di privilegiare, dove possibile, lo Smart Working.

In Italia la cultura dello Smart Working non si è ancora insediata del tutto per cui le aziende italiane si sono trovate a dover aprirsi a una modalità di lavoro che non prevede la presenza fissa del dipendente in ufficio e a riorganizzare il lavoro. Allo stesso tempo i dipendenti, non abituati a lavorare da casa dove magari non hanno a disposizione i giusti spazi e i giusti strumenti, hanno dovuto adattarsi a una modalità di lavoro poco conosciuta.

Il 2020 ha costretto le imprese a mettere in discussione il concetto di produttività legata alla presenza fissa del dipendente in ufficio e, costrette dalla situazione, a riorganizzare il lavoro per far lavorare il dipendente da casa. Alcune, già magari avvezze alla pratica dello Smart Working, non hanno avuto alcun problema ad adattarsi alla situazione, altre, hanno in qualche modo improvvisato una sorta di telelavoro permettendo ai dipendenti di lavorare da casa e fornendo loro strumenti laddove necessari ma mantenendosi bel lontane dal modello di Smart Working inteso come lavoro intelligente, agile, flessibile, che permette al dipendente di lavorare dove vuole senza vincoli di tempo e spazio. Gli obiettivi sono stati raggiunti lo stesso, come si evince dai dati riportati sotto ma non è corretto etichettare una pratica lavorativa come “Smart Working” perché lo Smart Working non è una pratica lavorativa, è parte integrante della cultura aziendale.

“Come ha constatato l’Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano, il 68% dei lavoratori è riuscito da remoto a svolgere tutte le attività, il 29% non è riuscito a svolgere solo una parte delle attività, spesso a causa della mancanza di processi e dati digitalizzati, mentre solo il 3% dichiara di non essere riuscito a portare avanti la maggior parte delle attività.Non solo, la maggior parte dei lavoratori ha dichiarato di aver apprezzato i vantaggi dello Smart Working e di voler continuare a praticarlo anche a regime. A conquistare è stata la crescita di autonomia e la possibilità di dimostrare con i risultati il valore professionale.”
[Digital4, Paola Capoferro, Smart Working: che cos’è, a cosa serve, perché è importante per il business]

Lo Smart Working, a differenza del semplice Remote Working, è un concetto di lavoro che si focalizza sugli obiettivi, sugli indicatori di performance, sui task chiusi e non vincola in modo restrittivo il lavoratore a orari, scrivanie e luoghi di lavoro in quanto reputa tali costrizioni irrilevanti al fine del raggiungimento dei risultati.

Il concetto fondamentale su cui si basa lo Smart Working è l’empowerment del lavoratore, il potenziamento, la responsabilizzazione: il dipendente responsabilizzato, tenendo sempre presenti quelli che sono principi e doveri del ruolo che ricopre, può scegliere dove, come e quando lavorare. Tutto ciò presuppone una cultura aziendale adatta e un’organizzazione aziendale studiata ad hoc. Laddove ci si affaccia per la prima volta allo Smart Working (o, prima, al Remote Working) è bene procedere per gradi, strutturando, passo dopo passo, l’azienda affinché sia pronta e seguendo da vicino i dipendenti per comprendere le loro esigenze e trasmettere loro la nuova cultura aziendale.

“Lo Smart Working non è però una semplice iniziativa di work-life balance e welfare aziendale per le persone: si innesca in un percorso di profondo cambiamento culturale e richiede un’evoluzione dei modelli organizzativi aziendali, per cui si deve prevedere una roadmap dettagliata fase per fase. Bisogna sempre ricordare, infatti, che è un progetto intrinsecamente multidisciplinare, che presuppone una governance integrata tra gli attori coinvolti.”
[Digital4, Paola Capoferro, Smart Working: che cos’è, a cosa serve, perché è importante per il business]

Lo Smart Working, come già accennato, non è applicabile a tutte le tipologie di lavoro subordinato, ci sono casi in cui non è possibile adottarlo come, per esempio, quello in cui c’è bisogno di fare formazione sul campo ai dipendenti (soprattutto nuovi assunti), in questo caso è necessario il contatto diretto tra dipendente e formatore per far sì sia che quest’ultimo possa trasmettere tutto il suo know how e la cultura aziendale sia che il dipendente in formazione acquisisca facilmente tutte le nozioni e le tecniche che poi dovrà mettere in pratica nel suo lavoro. In altri casi si può pensare all’adozione di diverse tipologie di Smart Working, due su tutte: Full Smart Working (completamente da remoto ovunque il dipendente voglia), Smart Working Ibrido (prevede l’alternanza tra presenza in struttura e lavoro da remoto). Le aziende devono innanzitutto capire se lo Smart Working è applicabile al loro campo e, nel caso lo fosse, quale tipologia è meglio adottare al fine di garantire produttività ed elevate performance.

In alcune tipologie di lavori è fondamentale il contatto diretto con i propri colleghi cui si può sicuramente ovviare utilizzando strumenti tecnologici per video conferenze che però non potranno mai sostituire il fattore umano, ragion per cui, in casi simili, è consigliabile l’adozione di uno Smart Working Ibrido che prevede l’alternarsi di presenza in sede e lavoro da remoto.

“L’adozione di un modello “maturo” di Smart Working può produrre un incremento di produttività pari a circa il 15% per lavoratore, secondo le più recenti rilevazioni dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Volendo proiettare l’impatto a livello di Sistema Paese, considerando che i lavoratori che potrebbero fare Smart Working sono almeno 5 milioni (circa il 22% del totale degli occupati) e che gli Smart Worker ad oggi sono 305mila, l’effetto dell’incremento della produttività media in Italia si può stimare intorno ai 13,7 miliardi di euro, ipotizzando che la pervasività dello Smart Working possa arrivare al 70% dei lavoratori potenziali.”
[Digital4, Paola Capoferro, Smart Working: che cos’è, a cosa serve, perché è importante per il business]

Lo Smart Working ha dei benefici anche per i lavoratori che, prima di tutto, vedendo attivata questa modalità di lavoro, percepiscono maggiore fiducia nel loro lavoro da parte della direzione aziendale e, in secondo luogo, perché il lavoro flessibile e la mancanza di vincoli legati a orari e luoghi permettono al dipendente di bilanciare più facilmente lavoro e vita privata tenendo però sempre ben presenti quelli che sono gli obiettivi lavorativi da raggiungere in termini di performance.

Da circa un anno il mondo intero sta vivendo una fase di profondi cambiamenti, ciò che prima sembrava normale ora è in qualche modo vietato e non è sempre facile adattarsi ai cambiamenti in atto soprattutto se si è obbligati da fattori esterni alla propria volontà. Le aziende sono state costrette ad adattarsi in qualche modo per non soccombere alle restrizioni imposte nell’ultimo anno in termini di contatti umani e spostamenti e lo hanno fatto adottando, dove possibile, la pratica del Remote Working che, stando ai dati, ha comunque permesso di raggiungere determinati obiettivi di business. Come abbiamo detto, però, il Remote Working non è Smart Working e il passaggio a quest’ultimo deve essere studiato e graduale per permettere sia alle aziende che ai dipendenti di ottenere vantaggi reali da questa tipologia di lavoro.

Fonti:
Digital4, Paola Capoferro, Smart Working: che cos’è, a cosa serve, perché è importante per il business
CommApp, La guida per riprogettare il lavoro e renderlo agile (pdf)

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2021-03-08T13:54:47+00:00

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